IL COLUMNIST / L’ATALANTA E LA SPEDIZIONE DEI 15MILA PER INSEGUIRE UN SOGNO: REPLICARE LA CAVALCATA NELLA COPPA COPPE 87/88, MA STAVOLTA SENZA SCORDARSI DEL LIETO FINE
(Luca Russo) – Se dovessi spiegare a un bambino cosa vuol dire essere tifosi di una squadra, non lo farei. Semplicemente gli mostrerei le immagini degli spalti gremiti del Mapei Stadium in occasione della recente sfida di Europa League tra Atalanta e Lione. Per inciso, vinta dai bergamaschi, che oltre alla qualificazione, già messa in ghiacciaia nelle precedenti esibizioni, si sono assicurati anche il primo posto nel girone. Una vittoria ottenuta davanti a 15mila spettatori. Dato, questo, di cui non ci si deve meravigliare più di tanto: l’Atalanta in Europa non ci va ogni anno, per cui le rare volte che ci riesce, i suoi tifosi giustamente se la godono. Ma che sorprendente lo diventa nel minuto in cui si realizza che quei 15mila per sostenere i propri colori sono partiti da Bergamo e arrivati allo stadio di Reggio Emilia, dove il club orobico ha scelto di migrare al lume del fatto che l’Atleti Azzurri d’Italia, data la mancanza di seggiolini numerati in tribuna Ubi
Giulio Cesare, non avrebbe ottenuto il nulla osta dall’Uefa a ospitare le gare casalinghe dei nerazzurri in Europa League. Un’invasione pacifica che ha messo nelle gambe degli uomini di Gasperini due, tre, quattro marce in più. Poco meno di 200 chilometri per una partita che niente di nuovo poteva raccontare a proposito del passaggio di turno, ma che era chiamata a stabilire la vincitrice del gruppo. E così giovedì scorso non si è capito se sia stata Bergamo a trasferirsi a Reggio Emilia, o Reggio Emilia a prender residenza a Bergamo. Indipentemente dal tipo di lettura che se ne offre, una cosa è certa: è esattamente lo spirito dei tifosi atalantini quello giusto per vivere una competizione che specialmente nelle sue primissime battute propone avversari poco affascinanti e altrettanto dotati sul piano della tecnica e della tattica. Facile fare sold out quando dall’altra parte c’è il Real Madrid del signor CR7, un po’ meno se hai di fronte (cito a caso) il Granada dei signori nessuno. Quante volte ci siamo lamentati delle squadre e tifoserie italiane che al di là dei nostri confini snobbano qualsiasi coppa non abbia le curve, le misure e le grandi orecchie della Champions? Ecco, non è il caso dell’Atalanta né dei suoi supporter, ché l’altra sera
l’Europa League l’hanno onorata come si richiede a qualsiasi formazione vi prenda parte, invece di accontentarsi della qualificazione che già avevano in mano da qualche settimana. Le altre, invece, non sempre hanno avuto un comportamento ugualmente rispettoso nei confronti della sorella minore della fu Coppa dei Campioni. Penso al Milan che, imbottito di seconde linee, ha rimediato una sconfitta e una figuraccia a Fiume in Croazia; o alla Lazio che in Belgio ci è andata con un gruppo volutamente rimaneggiato e intenzioni tutto tranne che bellicose, finendo per perdere al cospetto di uno Zulte davvero modesto. Ok, si trattava, e per i Diavoli e per i biancocelesti, di partite alle quali non c’era granché da chiedere, ma l’orgoglio? Dove sta? Se i rossoneri avrebbero potuto regalare la prima gioia in panchina a Gattuso, le aquile avevano un’imbattibilità da difendere (in EL non perdevano dal settembre 2011 a Lisbona con lo Sporting): due ragioni molto più che valide per affrontare seriamente gli ultimi novanta giri di lancette del gruppo. E invece no. Per assistere ad una partita vera, l’attenzione abbiamo dovuta spostarla sul Mapei Stadium. Che nelle ultime stagioni è diventato un po’ il campo di tutti. Progettato e costruito tra il 1994 e il 1995, all’inaugurazione lo stadio reggiano – quando ancora si chiamava
Giglio e non Città del Tricolore come oggi – era un impianto proiettato nel futuro e, segnatamente, dotato di: tornelli, telecamere a circuito chiuso, panchine riscaldate e, udite udite, un apparato moviola. Negli anni, oltre che le gesta della Reggiana, ha ospitato: match della Nazionale Italiana; spareggi di serie B e serie C; una finale di Champions League femminile; il Carpi per la stagione 2011/2012; dal 2013 il Sassuolo il cui proprietario, la Mapei, nel dicembre di quattro anni ne è diventata proprietaria; e infine le gare interne di Europa League 2017/2018 dell’Atalanta. Che dopo aver regalato alla sua gente e al pubblico di Reggio Emilia le imprese da copertina contro Everton (battuto per 3-0), Apollon Limassol (3-1) e Lione (1-0), ora può mettere nel mirino il bersaglio grosso, ovvero replicare la cavalcata nella Coppa delle Coppe 1987/1988. Ma stavolta senza scordarsi del lieto fine. Luca Russo
Per me l’Atalanta può benissimo arrivare in finale. In campionato è tranquilla e non ha nulla da chiedere, perciò può concentrarsi sulla Coppa.
Sono d’accordo. Poi nel calcio esistono delle società che sembra abbiano un rapporto speciale con le coppe europee. Per restare in Italia, una di queste è sicuramente il Parma, che in Europa, Tanzi o non Tanzi, ha sempre fatto buone figure. Per esempio la semifinale Uefa del 2005. E anche Milan che non di rado ha vinto la Champions e però nello stesso anno è arrivato terzo o quarto in campionato. E poi c’è l’Atalanta che, come ricordavo nel pezzo, nel 1987/1988 da squadra si serie B si spinse fino alla semifinale di Coppa delle Coppe. Non mi dispiacerebbe per niente che fossero gli orobici a succedere al Parma nell’elenco delle italiane che hanno sollevato al cielo la Coppa Uefa.
Non hanno proprio nulla da perdere e ormai si è creata la magia quando giocano in Europa.
Peccato ke NON possono giocare nel loro stadio ahime
Anke perkè fosse solo il problema dei seggiolini numerati
Li avrebbero pure messi purtroppo invece le problematike
Sono ben maggiori e la prima è la sicurezza dentro e fuori
All’Atleti Azzurri D’Italia di Bergamo come del resto la
Maggior parte degli impianti Italiani compreso il Tardini
Sono ritornato a Terni dopo svariati anni e il Liberati
Praticamente stà messo male anzi ci sono crepe e
Cedimenti da far pura una pena assoluta !!!!