DIARIO DI UN’ITALIA IN(CORONA)TA, di Luca Savarese (12^ puntata) – LA STRAGE DEI SACERDOTI: 68 IN TUTTA ITALIA E A PARMA 13 SAVERIANI
(Luca Savarese) – “In questi giorni sono venuti a mancare medici, sacerdoti. Tanti infermieri sono contagiati perché erano al servizio degli ammalati. Ringrazio Dio per l’esempio di eroicità che ci danno nel curare gli ammalati. #PreghiamoInsieme per loro e per le loro famiglie”. Con queste parole papa Francesco, sul suo profilo twitter, rivolge un pensiero a tutta quello squadrone, davvero fortissimo, fatta di persone che nella vita hanno fatto la scelta più difficile di tutte: spenderla, donarla per i propri fratelli. Se i medici hanno fatto il giuramento di Ippocrate, i sacerdoti, invece, hanno sposato Gesù, che della Croce (con la maiuscola, perché anticamera della Resurrezione) ha fatto la sua ragione di Vita. In questi giorni, tanti, troppi preti, stanno risalendo a quel Cielo che qui hanno fatto, in vari modi, pregustare. Parma, lo sa molto da vicino: 13 morti in 15 giorni, questa la cifra terribile delle dipartite della Pia Società di S. Francesco Saverio presente ed operante in via san Martino a Parma. Padre Rosario
Giannattasio, contattato telefonicamente da Repubblica, è affranto: “Ci ammaliamo e moriamo, ma adesso qualcuno deve venire ad aiutarci”. Gli ultimi giorni la provincia parmense aveva visto spegnersi anche il presbitero don Giuseppe Fadani, 84 anni, don Fermo Fantoni, 83 anni e parrocco di Mezzano Inferiore, Coenzo e Casale; don Giacomo Bocchi, 89 anni, parroco di Coltaro, Torricella, S.Nazaro e Pizzo e don Franco Minardi, parroco di Ozzano Taro da 69 anni e Don Andrea Avanzini, 55. 68 i preti, sinora, venuti a mancare in Tutta Italia, Bergamo, la Diocesi più colpita.
Già, i sacerdoti, non avranno il rimedio al Coronavirus, ma quante preziose premure, fatte di assistenza, parole calibrate, vita spesa accanto, senza far rumore. Una settimana esatta fa, ha finito la sua partita terrena ed iniziato quella del cielo anche don Luigi Giussani, morto di Coronavirus, dopo essere entrato in terapia intensiva, nell’ospedale milanese di Niguarda. Uno dei primi mie maestri di vita, essendo stato sacerdote nella mia parrocchia di San Protaso e Gervaso, nonché mio professore di religione al Ginnasio al Liceo classico Statale Cesare Beccaria e amico di mille avventure, roba croccante, mica noia bigotta. Qui sotto il mio saluto ed un grazie gigantesco a chi come lui, in queste ore è lì pronto a mettersi in gioco, dentro questa trincea. E’ di oggi la visita di monsignore Mario Delpini, arcivescovo di Milano, all’ospedale Policlinico con relativa benedizione ai malati ed ai contagiati del virus. In fondo, lo diceva anche Gesù, medico sacerdote e medicina: “Chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”.
TI SIA LIEVE LA TERRA, CARO DON LUIS GIUSSA, AUDACE PROFETA DEL CIELO QUAGGIU’
Hai scelto un giorno feriale per entrare nel Campo dei campi, un mercoledì, giorno di consueto adibito alle Coppe, anzi alla Coppa, quella con le grandi orecchie e ti confesso, che non è stato facile ascoltare questa notizia. Che strana la vita, era da anni che riuscivi a risolvere ed a togliere mille virus dai pc dei tuoi amici, che volentieri te li portavano, contenti di questo strano santone dei computer con quella faccia lì un po’ incavata e poi la pelata, liscia: sembrava che Socrate, Diogene il cinico e Bernardino da Siena si fossero dati appuntamento lì, tra i tuoi lineamenti austeri ma sinceri. Mille virus informatici hai rispedito al mittente, ma questo no, brutta bestia, ha infettato tutto il tuo hardware ed il tuo software e così, ti ha mandato al tappeto. Non ci ha lasciato nessuna password, ci ha spiazzato, un rigore maligno che non ci aspettavamo proprio. Ma, non ce niente da fare, i profeti e i grandi, decidono di andare così, senza fare poi troppo rumore.
Ci resta però una cosa, che niente e nessuno potrà toglierci, compresa sorella morte (non ti è mai piaciuta l’etica francescana ed i frati che, birbante, consideravi dei beoni…)
Ci resta, colma, la valigia dei ricordi, ma di più, ci resta, paffuto, lo zaino degli insegnamenti. Quel possesso eterno, per dirla alla Tucidide (anche se tu poi eri prof di religione mica di storia ma tant’e…) che nemmeno sorella nostra morte corporale può togliermi. Fischia (come dicevi spesso tu) quanti frammenti di vita croccante, invitante, tutta da gustare. Ebbi il privilegio di essere, sin da subito, uno di quelli che erano nella tua cerchia. Ah si, avviso ai naviganti: il don Luis l’era in sci, o lo si amava o lo si odiava, assolutamente non banale, molto distante da ogni buonismo a buon mercato e da ovvie mezze misure. Avevi conosciuto mio papà, quando eri sacerdote in quel di Cinisello. Quindi quando arrivasti a San Protaso, mio papà ti conosceva già ed il gioco, era fatto. Io facevo la terza elementare e per la prima volta stetti attento ad una predica: dall’ambone, una sorta di filosofo, sembrava proprio quel filosofo che trovai poi alcuni anni più tardi su un testo di Filosofia delle edizioni ferraresi Ciranna: parole calibrate, quasi ruminate, e quella mano, leggermente tesa, ad indicare una strada. Eri tu, io macchinina stupita, mi misi a seguirla. “Fusto come stai” così ti rivolgevi a me bambino e volentieri mi accarezzavi la testa con la tua mano possente, morandiana, paterna, che sapeva di sapone e avventura. “Quello che sei vale immensamente di più di quello che fai”, questa una delle tue prime perle, che annotavo, sul sussidiario, prima di attaccare le figurine. La tua figurina? Origine piemontese, maglia a strisce bianco e nere. Fin da piccolo, al toro, preferisti la zebra. E lo stile sabaudo, si vedeva, quando ti chiamavo a casa, cioè in parrocchia, insomma nella tua abitazione in parrocchia, e mi rispondeva, algida, tua mamma: “Don Luigi non è in casa in questo momento e non si trova nemmeno in Milano, appena torna, gli faccio chiamare, mi lasci i suoi recapiti”. Più che una figurina, facevi un figurone!
Mi attiravi, mi coinvolgevi, preziosa calamita della mia infanzia e oltre. “Fusto mi accompagni a benedire?” “Va bene, ci sono” E giù ad andare: via Ranzoni, via Faruffini, piazza De Angeli, ma, prima di benedire le case, lungo il tragitto, benedicevi la conversazione con chicche ed ironia. Enoteca Simone, via forze armate: “ Mi dia per favore un buon vino e non la solita fuffa” chiedi perentorio al venditore, che ti risponde, : “Guardi ho questo, non solo è di ottima qualità ma ha un prezzo della Madonna”. “Allora, lo prendo, è il mio, sono sacerdote…” Credo che quel signore stia ancora ridendo… E poi, alla fine delle benedizioni, “Questo sono per te fusto, chi lavora ha diritto alla sua ricompensa”. Dieci mila lire, taac, a dieci anni, il mio primo fatturato…Spesso, bigiavo la messa delle 9.30, quella preposta per i bambini, per andare a quella delle 11.30 e sentire tu che spezzavi la parola. Si, ero uno dei tuoi, e ne ero fiero. Quando poi al ginnasio, scoprii che la mia sezione, la D, aveva te come prof di religione, mi sentivo come Copernico appena pubblicata la sua teorie eliocentrica: in un’orbita rivoluzionaria. Mentre gli altri prof di religione spiegavano la Bibbia tu ci facevi vedere l’Attimo fuggente e Blade Runner. Mentre gli altri prof fornivano un bigottismo paolotto, tu riempivi la lavagna con la scritta: “Natalino Sapegno non ha capito niente”. Perchè, il critico letterario Sapegno, aveva ritenuto l’immensa umanità di Leopardi, mera poltiglia adolescenziale. Amavi osare, lanciavi sfide, te ne fottevi del perbenismo. Luglio 2000, tu, io e la nostra squadretta di beccarioti sta andando sulla tua Tipo da film Gangster con sedili bordeaux e volante in legno, tu alla guida, a trovare una ragazza al mare, a Finale Ligure. Sono le 18, mentre tutti i preti dicevano messa, tu eri sotto rete, vuoi mettere una partita di beach volley? Epico il viaggio di ritorno, con tua arringa dopo aver visto degli autostoppisti dallo strano aspetto: “Ricordatevi che l’uomo, è fatto per dare non per prendere” Gli altri, quei benpensanti del Berchet avevano Giussani ed il suo mito, noi avevamo Giussanello e guai a chi ce lo toccava, il nostro mito. Quel potere di rendere l’istante interessante e Gesù una roba davvero figa mica sbobba da catechismo. Gennaio 2003, annus mirabilis della mia maturità, appuntamento alle 6.45 davanti al Beccaria per distribuire le copie del nostro giornalino, di cui tu ne eri convinto direttore: il faro. Adesso te lo posso dire, anche se forse era già chiaro: faro lo sei stato tu, hai acceso una luce nuova, intrigante, battagliera, che ha saputo illuminare la mia infanzia, scaldare la mia adolescenza e non spegnersi nell’età adulta. “Magari qualche volta mi porti a vedere la mia Juve, io mi procuro una trombetta” Questa una delle ultime cose che mi dicesti quando ti ho visto l’ultima volta, lo scorso dicembre. Da oggi, caro Nello, questo l’altro nomignolo con cui ti chiamavo, la tua Juve la potrai vedere senza accredito ma tra le trombe degli angeli, accanto alla tua discreta mamma ed al tuo energico papà, che ti ruppe una radio vecchio modello quando stavi ascoltando una partita dopo che avevi fatto una bravata da giovincello… Ultima cosa: non ho mai capito come facesse la tua Tipo ad aumentare il volume dell’autoradio quando acceleravi. Forse però, da stasera, mi sarà tutto più chiaro: quando vedrò una stella accelerare, capirò che tu sei arrivato e che il tuo viaggio è appena cominciato, allora, da solo, si alzerà il volume del tuo lascito. Grazie di tutto caro Giussa. Luca Savarese
#Dodicesima puntata Mercoledì 25 Marzo 2020
Grazie Luca Savarese per il tuo toccante e commovente articolo, in ricordo del tuo prof di religione, sacerdote, come tanti sacerdoti e non solo, che hanno perso la vita in questo periodo..
Bello il pensiero del Papa, col quale ha voluto essere vicino anche ai numerosi infermieri e medici, contagiati, perché al servizio degli ammalati.
Come sempre, bravo Luca
Il Papà è vicino come tutti noi, nè più nè meno, a chi opera in questo fronte di guerra. Perchè non va in visita in queste trincee? A me piacerebbe che il Papa fosse vicino, tra l’altro, anche alle vittime ed alle famiglie dei reati che stanno scontando i carcerati, e non sempre e solo alle famiglie di questi ultimi.
“Papa” e non Papà, scusino