CATTIVO CITTADINO di Gianni Barone / IRREALITY SHOW (anzi, choc; o meglio sioc)
(Gianni Barone) – Quanto sia difficile essere normali in questo periodo è sotto gli occhi di tutti. Con la lingua si può fare di tutto, soprattutto ingannare. Si possono inventare nuove suggestioni, anche attraverso neologismi o adattamenti lessicali o verbali. Stringentemente, è ciò che viene usato per descrivere il cammino attraverso il quale deve passare il protocollo di ripresa del calcio, ovverosia tutto ciò che si deve fare per trovare la maniera giusta per uscire, una volta di più, dall’impasse, dalla strettoia entro cui si ci è infilati, con tutti gli avverbi possibili, compresi quelli che non esistono. In principio era la scienza che obbligava, poi la fantascienza – fatta di norme e articoli difficili da capire e da superare – che detta il programma e lo complica non poco. Ora anche le società – e che società! – avanzano riserve, con prese di posizione, travestite da condizioni da soddisfare, ma che nascondono, ansie, ripicche, ricatti e astuzie varie. Ma quale fronte comune, descritto da consigli e assemblee in remoto. Le norme capestro si susseguono per evitare la lineare soluzione del problema. E il fronte, un giorno compatto, si divide e si frammenta (per l’ennesima volta) in attesa dell’ingresso della politica, di cui pochi si fidano e a cui è demandato l’onere della decisione definitiva (sempre perché ballano dei baiocchi). Oltre ai soliti luoghi comuni sul calcio dei ricchi (che, anche loro, qualche volta piangono) non si capisce per cosa, s’innesta
anche la presa di posizione degli ultras, i quali, esclusi dagli stadi e dalla scena, non ci stanno ed urlano (scrivendo), per quanta forza possano avere, il loro deciso dissenso. Ma come? Il calcio vuol riprendere ad ogni costo, e la sua componente più passionale è contraria? E non vuole trasformarsi in spettatore asettico da salotto per nessun motivo al mondo. In questo senso le mutazioni genetiche non sono ammesse o accettate. Quindi lo scenario di questa realtà
ambigua, surreale, spettrale, diventa “irrealtà pura”, che non lascia spazio a nessun tipo di mediazione. Chi si batte per un qualcosa di sacrosanto, legato alla sopravvivenza economica dell’intero settore più l’indotto, chi nicchia, chi protesta e chi se ne frega. E lo show (irreality), diventa choc, se non addirittura sciocco (sioc in dialèt) e non c’è grande fratello che tenga, troppo abusato in termini di reality dall’idea originaria di Orwell e del suo 1984; qui siamo alla Fattoria degli animali (lascia qui la bottiglia) sempre secondo la fantasia di Orwell che aveva ipotizzato la dittatura dei maiali al posto degli uomini, su tutte le altre razze, in una sorta di irreality in cui ci si batte per un qualcosa, in cui solo pochi credono, possa servire o possa bastare. Il paese si dibatte e chiede pane e chiarezza al posto di una burocrazia, stringente, che ritarda con spavalderia gli aiuti, e il calcio si divide e si frantuma con i tifosi che si schierano contro tutto e contro tutti coloro vorrebbero tornare a una normalità nuova, condizionata, contingentata, provvisoria, e da alcuni definita incongrua. E la strada – altro che stretta! – si fa sempre più perigliosa: è disseminata di ostacoli e trappole sotto forma di ritiri (che non si sa ancora, pur essendo venerdì, se da lunedì saran obbligatori o meno e per quanto), esami continui, rispetto ossessivo di distanze e ruoli, con responsabilità che tutti vorrebbero evitare di avere
(in primis i medici sociali, i quali, sovente, sono legati alle società come semplici consulenti e non come dipendenti e che non ci stanno a prendersi la responsabilità civile – anche se col paracadute economico dell’assicurazione – e soprattutto penale in caso di contagio da Covid 19 dei tesserati). Ciò che emerge in questo enorme caleidoscopio di contraddizioni è che ogni giorno si afferma tutto e il contrario di tutto con leggerezza estrema e con allegria sfrontata e smisurata. Ora, quando si sente dire, da chi è sempre apparso scettico – Malagò, Presidente CONI – che il campionato potrebbe, al 99%,
riprendere il 13 giugno, ma se non finisce occorre avere un piano B, è chiaro che si sente puzza di bruciato, e i casi sono due: o si bluffa, o si gufa. Se poi nella schiera degli oltranzisti che avversano Spadafora, alla Zazzaroni per capirci, si apre qualche crepa di pessimismo, ecco che il quadro dell’incerto esistere, resistere e resiliare si completa.
Gli “Spadaforologi” più convinti sono in attesa di un pronunziamento governativo tutt’altro che positivo, ma arrivati a questo punto potrebbe davvero succedere di tutto, anche alla luce del prossimo intervento del premier Conte che, liquidato il corposo decreto economico, potrebbe anche sorprendere gli scettici di professione. In un mondo che attende dall’alto sempre qualcosa di più per sé, cosa si può pretendere di più? Siamo in debito e in deficit di tutto, in termini di consapevolezza, pazienza e sopportazione con tante categorie in attesa di attenzione, aiuti, solidarietà, e cosa fa il calcio? Si divide, ancora una volta, più che mai: e allora ci domandiamo, ma vale proprio la pena, sulla linea della ripresa, continuare su questa strada a lottare per un qualcosa in cui si crede sempre in meno? E’ proprio tutto irreale, questo “irreality show” dove il protocollo degli allenamenti collettivi non convince perché i tamponi e i test scarseggiano, i medici non vogliono responsabilità, i giocatori non vedono di buon occhio i ritiri dopo la lunga clausura forzata già patita, e sulla quarantena post positività non ci sono dubbi. Basta questo o ci vuole proprio un robusto piano B, in questa fattoria, dove tutti fanno ih-oh? Gianni Barone
Diamo tutto in mano a Tommasi. Lui si che risolve i problemi. Magari con l’aiuto di Albertini.
Gli Ahmadinejad della salute pubblica con le solite schiere di dottoroni col vestito di lana un po’ largo, le scarpe di cuoio e le teste grigie o pelate (e le mascherine) mantenendo il distanziamento sociale hanno detto che in spiaggia libera bisogna prenotare e entrare da una parte e uscire dall’altra e chiuderle se c’è vento perché il mare grosso butta su l’acqua e se c’è uno che fa il bagno col virus infetta tutti. Intanto saluti all’Omino Bialetti di Sua Eccellenza che se ne va a Palermo. Un inutile burocrate e tecnocrate che ha dato zero (a parte multe a chi era zonzo) e di cui nessuno sentirà la mancanza.
“hanno detto che in spiaggia libera bisogna prenotare e entrare da una parte e uscire dall’altra e chiuderle se c’è vento perché il mare grosso butta su l’acqua e se c’è uno che fa il bagno col virus infetta tutti.”
Stai scherzando, vero?
Da Repubblica che è la Pravda del Regime delle pantofole:
“ Si va solo su prenotazione, se proprio necessario su due turni una mattina e uno pomeriggio per permettere la sanificazione dei lettini. E con una curiosa incognita di cui il Comitato tecnico scientifico sta discutendo: l’opportunità di chiuderli nelle giornate di mare grosso perché l’onda che sbatte sulla battigia potrebbe provocare un pericoloso effetto aerosol.
Più complessa la gestione delle spiagge libere che i Comuni saranno chiamati ad accollarsi con cartellonistica sul distanziamento e pattugliamenti serrati. Ma potrebbero anche, seppur gratuitamente, essere previste postazioni già delimitate sugli arenili e settori da prenotare via app per fasce orarie determinate”