DIARIO DI UN’ITALIA IN(CORONA)TA, di Luca Savarese (70^ puntata) – LA FESTA DELLA REPUBBLICA INCASTONATA NEI 50 ANNI DALLA MORTE DI UNGARETTI
(Luca Savarese) – Nel celebrare la Repubblica, non riusciamo a non coccolare tutta quella repubblica di scoperte e riscoperte fatte in questi mesi inediti ma decisivi, prima fra tutte quella di respirare da soli, non più solo un fatto meramente chimico-fisico. Poi quella di non possedere proprio un bel niente. Come anche questa: avevano da troppo tempo abitato questa terra da padroni incontrastati. Ora abbiamo ricevuto una cittadinanza diversa, quella di ospiti. Gli ospiti gustano, apprezzano, si stupiscono: sanno e scoprono che quello che vivono non è loro, ma è per loro. Allora buona festa della Repubblica dentro questa coinvolgente Ri-scoperta Republic. Quest’anno, il compleanno della Repubblica, le 74 candeline sulle torta, coincidono anche con i cinquant’anni della morte di uno che all’Italia ha dato tanto, regalandole, momenti unici: Giuseppe Ungaretti. Davvero niente male la sua Repubblica delle parole. Egli, ha cercato di fare una cosa che sfugge ai più: ha provato a guardare le cose della realtà e la realtà delle cose come fosse un
intarsio raro tra prima ed ultima volta. I suoi occhi, fari attenti fino agli ultimi istanti prima di lasciare questo mondo, il 1 giugno del 1970, ci attestano proprio questo. Così lo descriveva il giornalista e critico letterario Leone Piccioni, suo compagno di avventure: “Una forza insolita magica che sprigiona dai suoi occhi, dalla sua voce, dalla sua persona. Arriva in un luogo, scende dalla macchina, entra in un ristorante, e pare, tant’è curvo talvolta con il suo bastone, che sia come ripiegato; ma è un attimo solo, e subito se parla, si rialza, il busto torna eretto, sembra più alto di quello che in effetti è, i suoi occhi, di solito semichiusi, come tagliati nel volto, si spalancano, e hanno un colore infantile, ancora stupefatto, pieno di curiosità”. Ungaretti era un innamorato, non c’è niente da fare. Ma nell’accezione più alta del termine, in quella etimologia intrigante che fa derivare amore da a-mors, senza morte. Non poteva permettersi che niente morisse al suo sguardo. Ecco il primigenio suo innamoramento, quasi
ontologico, al quale dava voce con le sue parole, sempre scelte, mai ridondanti, spesso spiazzanti. Ma anche all’amore tout court sapeva, eccome, dedicarsi. Prima la relazione con la moglie, una ragazza francese, Jeanne Dupoix, sposata a Parigi nel 1920, che gli diede due figli Anna Maria ed Antonietto, che morì in Brasile a nove anni. La consorte lo lasciò invece nel 1958. Furono i lunghi viaggi a tenerlo desto e desideroso. Proprio a Piccioni scriverà “Il giorno che sentirai che non viaggio più, che non prendo l’aereo, che non parto più con te in macchina, per Urbino, per Firenze, per dove ti pare, che sto a casa sempre, allora, sarà segno che sto per andarmene…” Proprio durante una di queste sue peregrinazioni, nell’estate del 1966, al termine di una sua conferenza in Brasile, terra alla
quale fu legato a doppio filo, una ragazza lo affianca, desidera il suo autografo e chiedergli di lui. Lui le parla, le offre del tempo, le regala attenzioni. Ungaretti ha 78 anni, lei, Bruna Bianco, ha 26 anni. In mezzo, ci sono 52 anni di differenza, subito riempiti da sguardi complici, intese immediate. Decide di intraprendere un altro viaggio, con lei. Sarà una lunga e vivace traversata epistolare. Racconta ancora Piccioni: “Ungaretti spediva ogni giorno in Brasile, una lettera: anche se rientravamo in albergo a tarda notte, prima d’addormentarsi si metteva piano piano con il suo inchiostro verde della stilografica, a scrivere lettere a una giovane amica”. Alla fine saranno quattrocento, pubblicate, con le pronte e stupite risposte di Bruna, nel 2017 nella collana Ocar da Mondadori, con il titolo di “Lettere a Bruna”. “Ti percorro tutta, sino a insediarmi nell’anima tua”.C’era una volta Antonio Cassano che mandava 400 rose alla Hunziker. Giuseppe Ungaretti, preferiva le lettere. Viva la repubblica delle sue parole nella festa della Repubblica. Ed oltre. Luca Savarese
#Settantesima puntata Martedì 2 Giugno 2020
“Si sta come d’autunno. Sugli alberi le foglie”
Descrizione adatta per il momento che stiamo vivendo.
Si sta, come d’estate, nell’orto le tomacche (davide ungaretti)
E per le strade i vecchi camion che le trasportano a diventare passata per la gioia dei buslotari
Balla balla Gasperini. Forse aveva la sindrome di Tourette (la malattia del burattino) non il corona. Meno male che all’estero qualcuno ha deciso di dare una regolata all’arrogante ridanciano e danzante.