CATTIVO CITTADINO, di Gianni Barone / LA GRANDE BRUTTEZZA
(Gianni Barone) – Tutti i «Jep Gambardella» del calcio nel vedere Parma-Fiorentina si sono sentiti in dovere di non partecipare alla festa, ma di aver avuto il potere di farla fallire con i loro commenti: serata calcisticamente triste, secondo Polverosi del Corriere dello Sport, e «assenza di bellezza» per Schianchi sulla Rosea. Niente fiesta e niente Oscar per nessuna delle due squadre in campo, bacchettate a dover dai critici che non hanno scorto, minimamente, l’anomalia, non solo sul piano lessicale, in quanto di fronte vi era una squadra (la Fiorentina), guidata da un difensivista (Iachini) che attaccava, sterilmente sin che si vuole, e un’altra (il Parma), allenata da un offensivista (Liverani) che si difendeva ad oltranza con 5 difensori e 3 pilastri a centrocampo arroccati all’indietro. Risultato: zero, nei goal fatti e di conseguenza subiti, con pochi tiri, poche occasioni, poco di tutto compresi gli errori che in un contesto così statico e bloccato non hanno trovato spazio e nemmeno ragione di esistere. Liverani per sgombrare il campo dalla dicotomia – Bravo a far giocare le sue squadre, ma prende troppi goal – per la seconda volta consecutiva ha cambiato sistema di gioco, e non modulo, come molti sostengono, perché sia il 5-3-2 che il 4-3-1-2 appartengono al «modulo a zona» (scusate sarò anche scaduto come il mascarpone, Schiroli dixit, ma è così), e ha proposto, come a Milano, un catenaccio senza contropiede che, per i puristi della materia
sarebbe come servire una carbonara senza guanciale, ma con della pancetta a dadini basta che sia (ohibò). Quindi in assenza di contropiede o di riconquista, alta, della palla, come capitato a San Siro, la squadra non è riuscita ad andare al tiro pericoloso verso la posta avversaria, mai una volta, facendo infuriare un po’ tutti: sia i seguaci dell’italianismo, che i propugnatori del «propositivismo» con entrambe le correnti assurte a rango di filosofia, loro malgrado. Eppure qualcuno, come noi, sempre pronto e solerte ad individuare anomalie, errori od omissioni, aveva insistito, non poco, sulla scarsa attitudine alla fase difensiva, da parte degli allenatori del nostro campionato, e quindi la svolta di Liverani, in senso conservativo, avrebbe meritato maggiori favori, ma così non è stato fino in fondo. Se pareggiare, in trasferta, con l’Inter, equivaleva, quasi, ad una vittoria, farlo in casa contro la Fiorentina, con il suo tecnico in bilico, con lo sviluppo del gioco che ha deluso tutti, non è una sconfitta, ma poco ci manca (specie per chi non ritiene in debita considerazione il core business ossia il dover muovere la classifica. E se, in una notte d’inverno, un viaggiatore-lettore di Stadiotardini.it, s’imbatte nella narrazione e nel verbo di 3 dei nostri 4 evangelisti Luca (Ampollini, Russo, Savarese) s’impadronisce di diverse e contrapposte verità, che vanno dalla rabbia per non aver osato abbastanza. alla delusione per
non averlo fatto contro una squadra in stato di pre-crisi, con l’allenatore sulla graticola che non schiera attaccanti veri, dall’inizio, come Cutrone e Vlahovic, preferendo a loro l’evanescenza di Kouame e Castrovilli, condita dalle giocate d’orgoglio di Ribéry, frenate a dovere, a volte con le mani «tese», rischiando, di un Osorio, debuttante, e già santificato dalla stragrande maggioranza dei «pagellisti». Sempre della serie «le novità fanno bene e vengono accolte meglio», domenica scorsa era toccato al giovane Balogh, ora è la volta del roccioso venezuelano che, al fianco dell’altero Alves, e del tenace Gagliolo, difficilmente, avrebbe potuto fallire. Tutti concordi nell’affermare, e ci riferiamo alla stampa sportiva nazionale, che così non si può andare avanti: o Liverani mette in atto i propositi
del suo progetto di gioco, alla svelta, o per lui, lo scimmiottare il «daversismo», che molti credevano e speravano morto e sepolto, non lo porterà da nessuna parte e con lui la squadra che, al momento, sembra recitare una parte obsoleta, non conforme agli obiettivi posti dalla nuova proprietà. Però il tecnico, più realista del re, non ci sta e intravede in tutto quello mostrato sinora, e soprattutto nelle ultime due gare, progressi e come dice lui, «a prescindere dal modulo (stra-sic), conta sempre l’atteggiamento e giocando con due attaccanti e due esterni che possono accompagnare, e avendo tutti a disposizione, ci sarà la possibilità di cambiare e acquisire efficacia». Tutto chiaro no? Si a parte dire «modulo» come sinonimo di «sistema», che non doveva usare per non cadere nell’errore tipico di giornalisti e pubblicisti come Schianchi della Gazzetta dello sport e Boellis di Tuttosport che farebbero bene a seguire, non dico StadioTardini.it, ma almeno i «Brugnoli-boys» Piovani e Grossi, della Gazzetta di Parma, che non cascano nell’errore e che si sono
allineati a noi nella forma che spesso è sostanza. Sofismi, a parte, il discorso sul gioco del Parma che cambia che non c’è, o che ci sarà, perché non c’è mai stato, o perché con questi uomini non si potrà fare diversamente, continuerà a lungo, fino a quando la svolta auspicata prenderà piede semmai ci riuscirà, a breve, o dopo la sosta per le Nazionali, da molti ritenuta inutile, tranne che da Zazzaroni, che ha addotto motivazioni economiche per la Nations League, durante un suo collegamento via Skype, dal taxi che lo stava conducendo agli studi di «Ballando con le stelle», nel quadro della rubrica «C come Calcio» condotta dal mio amico Max Cannalire, in onda su Radio Cusano Tv. Teniamoci, nel frattempo, questo Parma, che non piace, ma che non incassa goal, almeno, e che regge in difesa, e che se Inglese e Gervinho cresceranno in condizione o se serviti meglio, saranno capaci di abbinare al catenaccio un contropiede idoneo, efficace e gustoso come una carbonara fumante provvista di guanciale e non di dozzinale pancetta da scaffale. Gianni Barone
Stiamo facendo un calcio
ANNI 60
in cui l’Italia in campo internazionale
era considerata CATENACCIARA.
Il CATENACCIO era tipico del calcio italiano.
Nelle coppe europee se l’Italia vinceva
in casa, in trasferta rinunciava al gioco e si
difendeva rimanendo nella propria area
cercando di difendere la vittoria dell’andata.
In campo pallonetto eravamo
derisi e odiati da tutti
Questo difensivismo era chiamato
CATENACCIO.
L’Uefa dovette introdurre per non avvilire
lo spettacolo del calcio che col catenaccio
aveva poco a che fare, una nuova norma.
I gol in trasferta valevano il doppio.
Ecco il CATENACCIARO LIVERANI a quei tempi
si sarebbe trovato molto bene.
Purtroppo nel 2.020 le cose
sono cambiate ma i CATENACCIARI come la
gramigna ci sono sempre.
Titolo stupendo ahahahha!
Ora considerando che andranno via pochi nazionale (almeno spero), ci sono due settimane per plasmare ulteriormente la squadra. A Roma mi aspetto di vedere qualcosa, se pur perderemo come di nostro solito.
*in nazionale