L’ADDIO A CHIMENTI: “VITUCCIO FACCI ‘A BICICLETTA!”
(Gianni Barone) – Non sarà stato bravo e famoso come Pelè e Maradona e nemmeno come Messi o Ronaldo, non sarà stato un campione, un fenomeno del calcio, un fuoriclasse tout court, però, per chi segue il calcio da una vita o ne mastica, come dice qualcuno, ha rappresentato, di sicuro, qualcosa che non sarà facilmente dimenticato. Con il suo fisico tutt’altro che atletico, senza tatuaggi o acconciature strambe o colorate, tutti lo ricordano, ugualmente, in maniera forse un po’ troppo semplicistica, come quello della “bicicletta”, cioè quel gesto tecnico che a livello professionistico nessuno è riuscito mai ad esibire su di un campo di calcio, nemmeno coloro che abbiamo citato come i grandi della storia passata e recente del pallone, sono stati capaci di proporlo.
Se n’è andato anche lui, presto, troppo presto, e di lui i tifosi delle squadre in cui ha militato, quasi sempre al Sud, non potranno mai dimenticare quando, fuori o dentro l’area di rigore avversaria, Vito Chimenti, detto Vituccio, nella Matera che lo aveva adottato e non solo, sfoderava all’improvviso quello strano e spettacolare modo di dribbling aereo, detto appunto della bicicletta. Qualcuno lo ha spiegato bene, ma in poche parole si trattava solo di pizzicare con i due piedi, posti asimmetricamente, il pallone e farlo librare in volo sopra la testa dell’avversario da scartare o superare, il tutto eseguito con grande rapidità. E lui lo faceva con arte, per sé, e con gioia per chi sugli spalti lo attendeva per applaudirlo. Ogni volta che qualcuno lo incontrava per strada a Matera, piuttosto che a Palermo, Avellino, Catanzaro, Taranto e persino Pistoia in serie A, gli gridava prima della partita “Vituccio facci ‘a bicicletta”, e lui puntualmente a più riprese non si sottraeva all’invito, e più delle volte non falliva, anzi la eseguiva proprio a regola d’arte. Quel gesto quasi “circense”, fuori dal contesto gara, da fermo, riesce a molti giocatori anche ai dilettanti, ma in partita ad ogni livello chi aveva l’abilità e il coraggio di tentarlo e realizzarlo era solo lui. Per questo va ricordato, perché faceva emozionare anche chi non era tifoso nelle squadre in cui giocava, era una delizia, uno spettacolo unico per grandi e piccini. Unico, ecco cos’era, Vito Chimenti, unico e diverso da tutti gli altri, per lui nessuno ha avuto l’agio di definirlo grande, grande giocatore, perché campione secondo gli standard e cliché abituali, non lo era, e non pretendeva neanche di diventarlo, ma, se lo fosse stato, non sarebbe stato originale e unico nel vero senso della parola.
Eppure il calcio nella sua storia gli dovrà per sempre tributare un applauso per come ha saputo farsi amare solo grazie a quel gesto che nessuno, dopo di lui, è stato in grado di ripetere con tanta maestria e tanta frequenza. Peccato non abbia, per la mancanza di “fisico del ruolo”, fatto carriera come o più di tanti altri molto più scarsi di lui soprattutto tecnicamente, peccato non abbia toccato palcoscenici internazionali, ma forse se lo avesse fatto, non sarebbe stato lui, l’uomo della bicicletta che ha fatto sognare platee provinciali della nostra penisola.
Io lo vidi giocare per la prima volta, dal vivo, in un’amichevole estiva che la Lazio di Maestrelli, poi futura vincitrice dello Scudetto, disputò alla Stadio dei Pini di Viareggio contro la compagine locale: rilevò nel secondo tempo Giorgione Chinaglia, uno dei boss di quella squadra, e manco a dirlo dopo pochi minuti sfoderò il suo dribbling volante lasciando di stucco un po’ tutti i presenti. Non ebbe molta fortuna, successivamente, coi colori biancazzurri, anche se il capitano Pino Wilson lo ammirava molto, infatti fu ceduto in C al Lecco e poi cominciò il suo cammino tra C e B al sud, fino ad arrivare in A con la Pistoiese e l’Avellino. Ma non della sua carriera che occorre parlare perché il personaggio con la maglia del Taranto in B, doveva venire a giocare a Parma, e io lo attendevo per vederlo dal vivo per la seconda volta, invano però in quanto la domenica prima, dopo un gol segnato a Cosenza, invece che esultare pensò bene di calarsi le brache e le mutande mostrando le terga all’intera curva silana che lo aveva ingenerosamente fischiato fino a quel momento: gesto che gli valse la squalifica per alcune giornate e quindi niente “ bicicletta” al Tardini. Peccato ancora una volta, ci era toccato ammirarlo solo in Tv. E ora che se ne è andato per sempre, chi lo sostituirà, nell’immaginario collettivo di chi vorrebbe dirgli ancora e per sempre”Vituccio ma faccela ancora una volta sta benedetta bicicletta, visto che neanche Messi sembra ne sia capace”. Lo so: non c’entra molto col Parma, e coi problemi attuali della squadra in chiusura del mercato, ma un doveroso omaggio ad un personaggio del genere, penso lo si dovesse pur fare per non pensare troppo a ciò che non va o che non c’è o non c’è più: cioè la poesia di questo sport attraverso i gesti, anche quelli più irrituali, dei protagonisti più autentici e genuini. Gianni Barone
R.I.P leggenda del calcio a suo modo.