CATTIVO CITTADINO di Gianni Barone / LA SOLITUDINE DEI NUMERI “NOVE”
(Gianni Barone) – Solitudine e tristezza, oltre che amarezza, nel constatare che non esistono più i numeri “nove”, quelli sanno attaccare, la porta, guardandola in faccia e non dandole la schiena per fare “da muro” e da “sponda”, per il gioco manovrato, “bailado”, della squadra che fa possesso palla, tiki-taka o, come si diceva una volta, titic e titoc, dopo aver curato la famigerata “costruzione dal basso”, sciagurata nella maggior parte dei casi.
Più che solitudine si tratta di assenza di numeri nove, veri, capaci di attaccare la profondità, capaci di calciare con potenza di “collo pieno”, e non di “mezzo collo”, come si usa fare all’attualità.
Al posto dei veri (nove) di cui sopra, a Parma, si è dovuto, obtorto collo, fare uso del “falso nove”, o centravanti tattico o di manovra, che dir si voglia, identificato nel “Mudo” Franco Vazquez, per riuscire a segnare qualche goal in più, mentre a livello nazionale, tutti scoprono, solo ora, solo dopo le lamentazioni del C.T. Campione d’Europa (e non solo) Roberto Mancini, che in Italia non esistono più gli attaccanti di una volta. Infatti il tecnico che non è riuscito nell’impresa di far qualificare gli azzurri al Mondiale del Qatar, per sopperire alla penuria di prime punte vere, per le qualificazioni ai prossimi Europei oltre a lanciare l’allarme, si è visto costretto a convocare oltre a Pafundi dell’Udinese, che in seria A non gioca mai, anche un illustre “Carneade” oriundo argentino, tale Retegui, che forse di persona, non ha visto giocare mai. Ma tant’è.
Nel frattempo, il tema dell’assenza di attaccanti italiani diventa d’attualità, e molti indicano nella presenza di molti stranieri nei nostri campionati, sia di A che di B, la causa principale per tale tipo di penuria di calciatori in un ruolo che una volta annoverava fior di cannonieri.
Invece chi (Viscidi) sovraintende, come responsabile tecnico, delle nazionali giovanili, non pare essere di questo avviso. Viscidi sostiene che la modernità è diventata un limite in questa materia affermando: “Ciò che va corretta è la metodologia degli allenamenti, in quanto – prosegue – i tecnici delle giovanili allenano i primi settanta metri, non gli ultimi trenta; pensano al lavoro di squadra non alla specificità del ruolo. Gli attaccanti non calciano di potenza, non attaccano la profondità e si limitano a fare da sponda dialogando con i compagni venendo incontro al pallone. Attaccare il campo verso la porta è una rarità, i tecnici urlano ai ragazzi di giocare facile, di non osare di guardare e servire il compagno più vicino.”
Una volta s’imparava l’arte del dribbling o si coltivava la virtù di cercare la porta, ora non più. Ma già da tempo, aggiungiamo noi, il dribbling è stato bandito dagli insegnamenti tecnici dei settori giovanili. Quanti non se ne vedono ora, non se ne vedevano, neanche, già a partire dagli anni novanta con l’avvento della zona: questo non bisogna assolutamente dimenticarlo. Ci siamo persi nella tattica di squadra, lamentava il mio docente di tecnica calcistica, al corso allenatori UEFA B, a cui ho partecipato sedici anni fa, dimenticando quella specifica tattica individuale tipo la finta e il dribbling, che nessuno si prende più la cura d’insegnare.
Ma tutti ricorderanno che un vanto della zona era quello di trasformare gli attaccanti, in fase di non possesso, nei primi difensori, e che il portare palla e dribblare era quasi un delitto farlo, perché di doveva far girare la sfera, muoverla, giocando facile e semplice con il compagno più comodo e più vicino. Su questi principi, fior di santoni della panchina, hanno costruito le loro fortune, e ora ci meravigliamo che nessuno sa più saltare l’uomo, nessuno calcia più con potenza, e che i migliori saltatori di testa sono i difensori.
Non parliamo poi di quella capacità di distogliere lo sguardo dal portatore di palla per prendere informazioni sulla posizione degli avversari, dei compagni e degli spazi in area, perché tale dote appartiene a pochi eletti (Halland), come del resto il fare tagli, incroci o contro movimenti per sorprendere l’avversario: utopie irrealizzabili. Non è vero?
E a proposito di dribbling e tiri di potenze, emblematico risulta ricordare, per rendere meglio l’idea di ciò a cui si è voluto a cuor leggero rinunciare, nel nome della modernità propositiva del palleggio, la carriera di due calciatori, anni 80/90 sconosciuti che eccellevano in ciò che oggi manca alle punte, e che proprio per questo, pur avendo giocato qualche partita in serie A, non hanno fatto un gran carriera, in quanto le loro doti, riconosciute, erano bandite dall’intellighenzia calcistica dell’epoca.
Citiamo ciò che diceva Zico, di un suo compagno all Udinese, anni 80, tale Giampaolo Montesano, classe 1958 da Aulla, ”L’uomo nato per il dribbling, il più forte del mondo parola mia”. Di lui il grande Pietro Vierchowod, uno dei difensori più veloci del nostro calcio moderno, aggiungeva ”Montesano era imprevedibile, scattava da una parte all’altra, senza che io riuscissi a fermarlo: è stato il giocatore più forte che abbia affrontato. Uno come lui non l’ho più incontrato”. E per concludere ecco cosa pensavano di lui i suoi allenatori di quel tempo (Fascetti, Cadè, Giagnoni, Renna): “Amava (…) viaggiare sulla corsia, saltare l’uomo, entrare in area, far finta di crossare, tornare indietro, ripartire: altro che brasiliano, un matto da legare”.
Croce e delizia per i citati tecnici vecchio stampo, ma solo croce ”da vade retro” per coloro i quali sono arrivati subito dopo di loro – i vari Sacchi, Zeman, Orrico, Maifredi – paladini di un calcio differente che privilegiava il collettivo alla giocata del singolo. Alle funamboliche giocate come quelle di Vito Chimenti, recentemente scomparso, l’uomo della bicicletta, anzi il bomber della stessa che, nonostante la sua corporatura tozza era agile e dotato di gran tiro che lo affermarono come attaccante affidabile dalla buona media realizzativa.
Ma sia Montesano (Palermo, Varese, Udinese, Cagliari), che Chimenti (Palermo, Catanzaro, Pistoiese, Avellino, Taranto), sono risultati essere solo ”epigoni” di un calcio individuale da eliminare, e che dopo tanti anni viene rimpianto da C.T. e responsabili tecnici di nazionali giovanili, per porre rimedio ad una carenza che è figlia di una mentalità che molti hanno appoggiato, negli anni, con convinzione, e che ora per necessità, vorrebbero, forse solo a parole, di colpo abiurare.
E anche a Parma, tale problema degli attaccanti che non sanno attaccare, che non saltano l’uomo in dribbling (alla Montesano), e non tirano di potenza di collo pieno (alla Chimenti), risulta essere tutt’altro che “falso”, checché se ne pensi, e che che se ne dica, amplificando quella solitudine in cui si dibattono oltre i numeri nove (che non ci sono più), anche quei tecnici tipo Pecchia e chi lo ha preceduto sulla panchina Crociata e in quelle altre di B, che si sono accorti che “si stava meglio quando si stava peggio”, quando catenaccio e contropiede erano armi in più e non motivo di vergogna per “modernisti” accaniti e disinvolti, e si spera, presto, pronti al proficuo, seppur tardivo, pentimento. Gianni Barone
Comunque negli altri campionati i bomber esistono ancora: Benzema, Lewandowski, Haaland, Kane e Mbappè.
È un problema solo di noi italiani. Imitazioni mal riuscite di calcio altrui?
È più forte Baraye o Benepippa/Bonny/Sciarpentié? (Inglese non lo nomino più gli ex giocatori non contano)
Man ha segnato contro Andorra. Abbiamo ritrovato il bomber di caratura mondiale, il talento alla messi, Mbappé e Neymar insieme
Anche Bonny e Buaya Kialla hanno fatto dei “partitoni” da giovani campioni quali sono
Inutile fare paragoni impietosi coi nostri giocatori degli anni ’90, ma due esempi di giocatori che abbiamo visto giocare qui e che avrebbero meritato palcoscenici più prestigiosi: Mariani (all’ala destra, capace di dribblare e crossare come pochi) e Davin (sottovalutato terzino sinistro). Sebbene si parli di serie C (lo dico per i più giovani…) in questo Parma non ho dubbi che sarebbero più che titolarissimi!!!
Si ma sarebbero titolari oggi che hanno 66 anni Mariani e 59 davin
Così parlò Casagrande (non ho capito cosa faccia ma comunque dirigente del fu Parma Calcio).
“ Nello specifico, i nostri obiettivi sono declinati su quattro pilastri fondamentali: lo stadio, il centro sportivo, lo sviluppo commerciale del brand anche dal punto di vista internazionale e, ultimo ma non meno importante, lo sviluppo dei giovani”
In pratica c’è tutto tranne che la parte sportiva, il calcio giocato maschile, il vincere le partite ma se hai Peder Sola come Ds e Benepippa come centro avanti non c’è bisogno di dirlo.
Infatti hanno impostato una squadra di balordi che non vince mai, tutto secondo i programmi
Perché Craus per far prima non fa acquistare alla sua marionetta Peder sola metà della under 19 francese, 1/3 di quella polacca e l’altro terzo da dividere tra quella greca, senegalese e venezuelana?
Davide non hai capito. Vuole lo sviluppo dei giovani ovvero un programma di fecondazione e riproduzione tra la maschile e la femminile, con ormoni e estrogeni somministrati da subito ai pargoli. Qualche incrocio sperimentale su cui costruire la squadra del futuro progettuale fra minimo 20 anni
Però sono soddisfatti al 100×100 del lavoro svolto e l’obiettivo era creare un’identità
Urca, Charpentier ha segnato contro il sud Sudan su assist di mboungou. A sto punto, pecchia deve farlo sempre giocare in coppia con man. Due bomber ritrovati!!!
Ma giusto per capire Andorra e sud Sudan occupano le posizioni 153 e 165 del ranking mondiale. Credo che il livello dei nostri campioni sia proprio quello.
Mboungo è under 19? Perché nel caso ha tutto per essere preso da Peder sola. Africano e di belle speranze
Vieulieux Prestige Mboungou, È fuori bagget. Ha 23 anni, gioca nel campionato degli Emirati arabi dopo aver avuto esperienze nel campionato Saudita e quello serbo.
Costa non meno di 25/30 milioni di euro. Ne costasse 15…
Aldo quei poveretti del Sud Sudan non hanno manco il materiale tecnico e non so se hai notato il torpedone del Congo Brazzaville? Tutto questo per dire il livello del Carpentiere che è più o meno una buona eccellenza.