CATTIVO CITTADINO di Gianni Barone / CONIGLIO MANNARO FEDERALE
(Gianni Barone) – In mancanza dei grandi retroscenisti della politica ai tempi della DC, già Balena bianca (Giampaolo Pansa, dove sei ?), cerchiamo, in queste afose giornate post ferragosto, di capire, con i pochi strumenti a nostra disposizione (l’intuizione, l’esperienza e le chiacchierate con amici e colleghi) cosa ci sta dietro o ci sia stato alle dimissioni di Mancini da C.T., (non spiegato da nessuno, ovviamente, a livello di mainstream), visto che ciò che sarà davanti e dopo alle stesse sembra essere chiaro a tutti, proprio a tutti.
C’è chi parla di risentimento da parte del Mancio per lo stravolgimento avvenuto in seguito alle nomina dei nuovi quadri tecnici che di fatto penalizzava i fedelissimi (Evani e Lombardo) a vantaggio dei cosiddetti “federali” (ogni riferimento al ventennio o all’omonimo film di Tognazzi è da considerare puramente casuale o fuori luogo del tutto) un tempo molto quotati o tenuti in conto per incarichi massimi livelli, da Valcareggi in avanti, passando per Bearzot, Vicini finanche per arrivare a Maldini senior.
Federali, intesi come coloro che all’interno del Centro Tecnico di Coverciano svolgono il loro lavoro, negli anni, nelle varie, rappresentative giovanili. E infatti la nomina di Bollini a vice cittì al posto di Evani, dopo la vittoria all’Europeo U.19, che poteva apparire come una cosa “normale”, sembra, a detta di molti, una delle cause scatenanti l’ira funesta di Mancini alla base delle sue dimissioni.
E’ ovvio che i dietrologi più accaniti scorgano in tutto ciò l’odore di un disegno di un complotto ordito da un cinico e spietato “coniglio mannaro” degno del più grande e astuto ras della DC, recentemente scomparso, a cui tale nomignolo fu affibbiato, capace di cambiare poco (solo qualche pedina), per riuscire a cambiare molto (grazie alle dimissioni artatamente procurate), in una sorta di “gattopardismo” alla rovescia, al fine di favorire l’avvento alla panchina azzurra da parte dell’allenatore capace di vincere l’ultimo scudetto, a Napoli, in ordine di tempo. Tutto studiato a tavolino, tutto previsto, secondo logiche da prima repubblica, quasi con la regia del miglior “cirino pomicino” posto a capo di una ricca e importante struttura federale.
Come ribadito da un post sui social dell’apprezzato giornalista Massimo Boccucci che così si espresso “Da due mesi la FIGC parla di nascosto con Spalletti… e Mancini ha capito che non era più l’aria e si è chiamato fuori da questo teatrino ignobile. In un paese normale il presidente federale e il commissario tecnico presentano le dimissioni irrevocabili dopo un minuto dall’eliminazione dal Mondiale. Dunque Mancini si è dimesso, ma Gravina ha protetto se stesso proteggendo anche lui. L’Italia non è un paese normale”. Conclusione degna del miglior D’Alema anni 90 post Tangentopoli, che però deve indurci a più di una riflessione: dopo aver condiviso in larga parte la descrizione e l’interpretazione di Boccucci, che non ha dubbi in merito ed esclude a priori il fatto che alla base ci possano essere le possibili sirene milionarie di un ingaggio arabo, si può anche razionalmente considerare il fatto che il cittì sapesse tutto o non se la sentisse di proseguire con un impegno di cui non si riteneva più all’altezza, o aspettasse il momento opportuno per mollare tutti (“cogliere la palla al balzo”) con la scusa dei cambi operati all’interno dei quadri tecnici a lui non graditi.
Escluderemmo la nomina di Buffon a capo delegazione, anche se, specie alle nostre latitudini, qualcuno, maliziosamente, l’ha fatta pure circolare…
Tutte ipotesi lecite, per certi versi loiche, che, però, non allontano il problema della sua sostituzione che appare facile e scontata anche se fino ad un certo punto: la strada giusta sarà proseguire puntando su allenatori di grido e vincenti nei club, la cui tradizione moderna si può far risalire a Sacchi, in sella negli anni 90, ma che affonda le sue radici già in molti decenni precedenti, allorché sul trono tecnico azzurro presero posto Mondino Fabbri, Helenio Herrera e prima di loro il futuro manager ante litteram Gipo Viani, scalzati, successivamente, dopo l’interregno del filosofico Fulvio Bernardini (anch’egli vincente coi club) dai cosiddetti federali Bearzot, campione del mondo 82, Vicini, campione del mondo mancato nel 90, ma vittorioso con l’U.21, oltre a Cesare Maldini pure più bravo con gli Under che non coi Senior. Di lì in poi le soluzioni tecniche interne furono bandite con le successive panchine di Trapattoni (l’ultimo e unico commissario simpatico), Donadoni, Conte, Ventura e Mancini, tutti bravi, poco vincenti i primi tre, un po’ di più (di rigore il quarto), ma tutti quanti in fatto di antipatia molto ben disposti. Del resto come il non vincente Prandelli e il trionfatore Lippi…
Però, non è di questo che si discute, quanto del fatto che il movimento azzurro, al dì la delle motivazioni e dei retroscena che ognuno ha il diritto di costruire e ricostruire, versa in condizioni poco edificanti, sia a livello maschile che a livello femminile, e non è il con nome dei prossimi cittì che verranno e del loro curriculum che si risolveranno i problemi, questo appare scontato.
Poi se Mancini andrà in Arabia o da un’altra parte, questo non deve interessare più nessuno: tanto non è da questi particolari che si giudica la normalità o l’affidabilità, non tanto di un paese intero – su quello incidono altri fattori – quanto di un sistema calcio in piena crisi tecnica, economica ed istituzionale. Gianni Barone
Amico mio attento a parlare di “federali” o il professorino con gli occhiali revoca il passo carraio. In tutto questo il dubbio è se Buffon sta sotto l’ombarlone e quando ne ha voglia va a fare un giro a Coverciano (come faceva qui da noi altri) per sentire qualcuno dire che emozione segnare a Buffon o se va in officio tutti i giorni.
Se le indiscrezioni fossero vere, che figuraccia! Invece di pensare a salvare il morente calcio italiano, ci si fa i dispetti a vicenda.
Direttore mi lasci ricordare anche la parabola in Nazionale di Zoff che rappresenta un’altra vicenda tipicamente Italiana, con sfumature…(anche se è improprio utilizzare il termine sfumatura per descrivere quello che accadde allora e sarebbe meglio ricordare che ci fu una vera e propria inondazione politica) e tratti peculiari.. ma le cui tracce rimangono visibili (mi pare) ancora oggi. Zoff iniziò la carriera di allenatore come federale, per poi passare presto alla guida dei club (dal pubblico al privato…) e quindi ritornare in Federazione alla guida della Nazionale in corsa verso Euro 2000. La sconfitta azzurra in finale ma soprattutto la subordinazione del sistema calcio (con la c minuscola) alla politica (con la p minuscola) portarono il nostro mister alle dimissioni. Le sue parole al momento del suo “volontario” congedo furono: “Ci sono state delle offese all’uomo, e non ho sentito una difesa forte sull’argomento. Così ho capito l’andazzo e ho dato le dimissioni”. Non so se Mancini abbia subito offese, avrà sicuramente sentito delle spinte… (magari anche da parte del suo stesso “amico” Gravina..) a cui però non mi pare abbia opposto un’accanita resistenza