CATTIVO CITTADINO di Gianni Barone / TOTAAL PECCHIA DEI PICCOLI «VAN HANEGEM» CHE CRESCONO
(Gianni Barone) – Lasciando perdere la sconfitta con il Lecco, la seconda dopo quella col Venezia, se si pensa al percorso finora intrapreso, la normalità del Parma di Pecchia a Parma, altrove diventa eccezionalità, per il modo con cui la squadra rinuncia ai titolari fissi, ai punti di riferimento precisi in campo, in maniera disinvolta, quasi rivoluzionaria.
Quasi, perché a tale termine si è ricorso solo in presenza di svolte epocali nella vita, nella società e, più in piccolo, poche volte, nel “microcosmo calcio”, a cui tutti, chi più chi meno, tendono a dare, storicamente, sempre più importanza, oltre al fascino, alla passione, al pathos che lo stesso riesce sempre ad offrire, nonostante tutto e tutti.
Il fenomeno Parma, negli ultimi anni squadra anonima, deludente, piena di problemi che a fronte d’investimenti, anche ingenti, in rapporto alla categoria e al tipo di campionato disputato, non riusciva a rendere come diceva e, soprattutto, non riusciva a raggiungere risultati utili al conseguimento degli obiettivi societari minimi prefissati, ora comincia a far parlare di sé, a stupire e spinge molti a cercare di far capire il perché «il re è nudo» e il per come di una tale esplosione, ed obbliga critici, esperti e soloni della domenica (del lunedì e anche del giovedì) ad interrogarsi sui motivi che hanno permesso che si potesse realizzare un’evoluzione di tale portata, in così breve tempo, nel lasso di una stagione, tra la sorpresa generale e senza che nessuno, in estate, ne potesse, minimamente o profeticamente, prevedere la creazione o l’avvento.
Un fenomeno laico quasi nato dal niente, verrebbe da pensare, invece questo niente sta diventando importante, grazie ad alcune idee, ad alcune intenzioni e/o intuizioni che solo ora vengono apprezzate dalla massa «non più critica», ma entusiasticamente festante, plaudente, ed ossequiante.
Eppure, tra le tante cose buone che si dicono intorno al Parma e al suo tecnico, non si è dato il giusto valore e il giusto risalto, in termini di innovazione del sistema, a quello che si sta manifestando e realizzando in casa Crociata dal punto di vista tecnico, tattico, societario (vedi la scommessa quasi vinta della valorizzazione dei giovani) senza dubbio, e soprattutto dal punto di vista di svolta dello «stile di gioco», di cui si accenna solo superficialmente senza approfondire, con i dovuti riferimenti, paragoni e parametri con ciò che si è verificato prima di ora nella storia di questo gioco, sport e divertimento.
La filosofia pecchiana, andrebbe, come tale, parametrata alle varie fasi del passato, in cui si è evoluta la tattica e la strategia di gioco, perché non è da poco e da tutti riuscire ad abbattere, in un colpo solo, la certezza che il calcio lo fanno solo i campioni, e dal loro estro e dal loro genio tutto deve prescindere e non c’è collettivo, buono bello che sia, che tenga e che si affermi con forza senza il loro predominio. Invece, al Parma, succede che l’allenatore non schiera mai, da una partita all’altra, la stessa formazione, non ha titolarissimi insostituibili, nessuno è indispensabile, cambia l’atteggiamento della squadra nelle fasi e nelle varie frazioni di gara, con una semplicità incredibile e diversi giocatori sono chiamati a svolgere, nello stesso incontro, compiti alternativi oltre ad occupare svariati spazi e posizioni, allo scopo di rendere sempre fluida e imprevedibile la manovra e rendendo, di converso, difficoltosa quella di chi sta di fronte.
Un trasformismo totale e non di maniera, un adattamento necessario a rendere efficace ogni situazione e sorprendente ogni movimento, sublimati da una serie di approcci giudicati, dallo stesso tecnico, «veementi», per riuscire ad indirizzare da subito, secondo un certo senso, le sorti dell’incontro in maniera positiva e imprevista per gli altri costretti, talvolta, a snaturare gioco e abitudini per rientrare in corsa o riaprire la gara.
Tutte queste cose poi, sono realizzate con ciò che l’allenatore continua a predicare da sempre, cioè la leggerezza d’animo, l’entusiasmo dello spirito e l’umiltà negli atteggiamenti tattici, strategici e soprattutto psicologici votati alla lotta e alla sofferenza, quando il gioco si fa duro e sporco, nel senso cadetto del termine.
In questo si riconoscono i caratteri distintivi che furono in un’epoca, lontana nel tempo, ma sempre da tenere vicina e a ridosso della mente e della memoria, della stagione del «calcio totale» olandese anni 70, con le vittorie dell’Ajax di Cruyff (tre Coppe Campioni dal 70 al 73), e della nazionale finalista, perdente, ma apprezzatissima per lo spirito e le novità tattiche espresse ai Mondiali del 1974, quando Pecchia aveva un anno e quindi, solo a posteriori, avrà potuto apprezzarne l’impatto e l’efficacia.
Era uno stile di fuoco e di gioco, di forza fisico-atletico innovativi al massimo, quello che portava ogni calciatore a spostarsi di continuo dalla propria posizione e per essere sostituito nella stessa da un compagno, che era agli antipodi con le logiche alquanto statiche dell’epoca, legati a modi di concepire i ruoli in maniera ferrea quasi cingolata, poco incline alla creativa fantasia motoria degli «orange». Secondo quello schema ogni giocatore, mantenendo inalterato l’equilibrio tattico, andava dove serviva che fosse e in questo gli olandesi si dimostravano maestri praticando, per la prima volta sistematicamente, il pressing alto, dando la vera idea di affermazione di collettivo nei confronti dei singoli e il giocatore più rappresentativo, Cruijff appunto, era il primo con il suo movimento da «falso nueve» ante litteram, ad innescare quello dei suoi compagni, siano essi i difensori esterni Surbier e Krol, molto offensivi entrambi, che i centrocampisti: Haan che partiva dalla posizione di libero (ma affiancava già lo stopper, il roccioso Rijsbergen) oltre a Neeskens simile a Bernabé per la duttilità, e la tecnica veloce degli inserimenti e soprattutto a Van Haneghem, autentico genio tattico, un simil Bousquets o Estévez, abile a dare sostanza ed equilibrio e dotato di un sinistro niente male, un vero esempio per le giovani generazioni di calciatore già «postmoderno» capace di tempi di gioco perfetti.
In avanti i due esterni d’attacco Rep e Resenbrick sfruttavano i varchi aperti dagli altri per andare in dribbling, attaccare la profondità e per poi concludere a rete, cioè quello che si richiede all’attualità ai vari Man e Beneck, Begic e quando tornerà Partipilo. Quello che faceva il divino Cruijff, schermato dal suo disco rigido, così definito, il mediano incontrista Jansen, nel Parma lo svolgono, tutti per loro parte in tre: Sohm, Hernani e soprattutto Bonny.
Paragoni arditi si dirà, certo, però il grado di novità apportato allora, rispetto a quello prodotto ora, per tutto ciò che si è detto e scritto, non mi pare non sia, nel confronto, del tutto fuori luogo o sbagliato.
Dal «Totaalvoetbal» che il tecnico Rinus Michels aveva mutuato, quando giocava centravanti, anch’egli nell’Ajax, negli anni quaranta, dal suo mentore, il britannico Jack Reynolds, fino al «Totaal Pecchia» di oggi in salsa ducale o Crociata, passando per il «gioco corto» della Ternana di Viciani, non scordando il «movimiento» di Heriberto Herrera anni 60 e la verticalità del primo Gibi Fabbri al Piacenza e poi al Vicenza di Rossi non ancora Pablito.
Completa mobilità e libertà dei giocatori in campo da non confondere con il tiki-taka guardiolano, come qualcuno ha avuto l’ardire di fare, in quanto nei due stili, c’è differenza fra chi è che si muove sul campo. Nell’iberico progenitore del calcio propositivo a farlo era il pallone, con continui passaggi rasoterra insistiti, mentre nell’altro modo di concepire il sistema (calcio totale) a muoversi sono gli uomini. cioè i pianeti secondo logica «copernicana» in opposizione alla «tolemaica» visione del sole (pallone) che oscilla nel firmamento calcistico di ieri e di oggi, senza soluzione di continuità alcuna, tra la noia e il dolore di perderne il controllo in zone, metafisicamente, pericolose. Leggi costruzione dal basso vade retro, che la «Totaal Pecchia» cerca, per sua e nostra fortuna, e per ragioni non solo di opportunità, ma di identità, quasi sempre di evitare e di bypassare attraverso i rilanci di Chichizola, molto simile a Jongbloed, portiere di quell’Olanda 74, che nonostante fosse un tabaccaio e non un professionista del ruolo, fu preferito per quel mondiale al titolare dell’Ajax, Schrijvers, in quanto molto più bravo di lui con i piedi.
Allora era strano che un estremo difensore fosse abile più a calciare che a parare, e infatti il cittì Michels lo scelse per avere «un uomo in più» in campo per giocare con gli altri palla a terra e gli affidò, l’insolito, per quei tempi, numero 8 in luogo di canonici 1 o 12, nonostante la numerazione scaturisse, di norma, in base all’ordine alfabetico solo per i giocatori di movimento e non per portieri. Gianni Barone
Il paragone ci può stare: non abbiamo ruoli predefiniti, si attacca lo spazio in profondità e velocemente scambiandosi continuamente di posizione.
Forse più che l’Olanda, ricorda il Liverpool al massimo della forza di Klopp.
Il Parma non ricorda l’Ajiax…e non solo perchè i sopravvissuti di quel magnifico squadrone adesso sono vicini agli 80 anni.. ma anche perchè credo che poche squadre al mondo si possano permettere certi paragoni con quei nobilissimi giocatori, che vinsero scudetti e champions esprimendo un gioco mai visto prima (e sicuramente noi, primi alla 13° in serie B…la nostra miglior prestazione degli ultimi anni… non possiamo essere una di queste). Lascerei gli Orange e la loro storia nell’album dei ricordi. Lo stesso vale per il Liverpool.
Capisco che si vogliano trovare similitudini col sistema di gioco ma questo è sempre diverso a seconda di come viene metabolizzato ed espresso dai giocatori. Detto diversamente… qualcuno di noi riuscirebbe a copiare un dipinto ad es. di Malevic e “realizzare” così un’opera in grado di dare a chi lo guarda le stesse emozioni che suscita l’originale?
Perché invece non vogliamo confrontarci inter pares… cioè con il Parma dell’anno scorso? In fondo l’allenatore è lo stesso e i giocatori impiegati sono più o meno gli stessi. Forse perché dovremmo spiegare come abbiano fatto i nostri giovani a maturare stando in panchina (Bonny 17 min/ partita, Circati 33 min/partita, Sohm 36 min/partita vs i quasi 50 min/partita di Juric….) quando invece è del tutto evidente che erano già pronti per giocare e noi per tornare in serie A. E cmq col Lecco se il nostro reparto arretrato (anche quando palesemente in difficoltà) non si difende mai col fuori gioco e marca sempre a zona qualcuno deve pur averglielo detto.. e pensavo anche che avessimo capito che Sohm non si esprime bene sulla fascia destra, che Benek non è proprio in forma e che Ansaldi potrebbe giocare un po’ di più
A me ricorda più “il caso volle” e che caso! 😂
L’avevo previsto!
La brutta sconfitta e l’onda lunga della sosta avrebbero ringalluzzito anche il sinalcolo.
Facile precisione, lo so.
un vecchio sinalcolo spigasè e arruginito della birra Pedavena